La disponibilità di tempo, risorse di calcolo e connessioni di rete da parte di milioni di individui ha reso possibile l’emergere di nuove forme di produzione distribuita di beni immateriali. Il caso piu’ noto e con maggiori radici e’ forse quello del software. Si parla in questo caso di software “open source” o “libero” perche’ il processo di scrittura collaborativa e’ reso possibile dalla disponibilita’, regolata da specifiche licenze di diritto d’autore, del codice sorgente. La qualita’ di questo software prodotto al di fuori del mercato con processi in genere decentrati e auto-organizzanti puo’ essere straordinariamente elevata: per esempio, ormai quasi il 70% del siti web mondiali, inclusi quelli di Google e Amazon, funzionano grazie ad un software open source, Apache, benche’ siano disponibili soluzioni commerciali prodotte dai piu’ importanti produttori software tradizionali. Ma anche a livello utente comune cominciano ad essere molto diffusi applicativi open-source come Firefox (web browser), Thunderbird (posta elettronica) o OpenOffice (suite da ufficio), quando non direttamente sistemi operativi open-source come GNU/Linux.

A conferma della qualita’ di molti progetti open source, grandi aziende come IBM e Sun hanno incorporato il software open source all’interno delle loro strategie industriali e commerciali, investendo risorse considerevoli nella definizione di modelli di business misti (parte open e parte tradizionali), nella partecipazione diretta di loro programmatori a progetti open-source, e nella messa a disposizione a titolo gratuito di asset intangibili, come dei pool brevettuali.

Oltre alla qualita’ che contraddistingue i suoi prodotti migliori, il software open source, sempre in virtu’ della piena disponibilita’ del codice sorgente, e’ sia trasparente, quindi meno esposto a rischi di sicurezza e di privacy, sia adattabile a specifiche esigenze, siano esse di natura industriale, come l’esigenza di realizzare customizzazioni, o siano esse di altra natura, come e’ il caso di software adattati per venire incontro alle esigenze dei diversamente abili o per servire aree linguistiche ritenute commercialmente non rilevanti dagli produttori tradizionali.

La trasparenza e l’adattabilita’, inoltre, rendono il software open-source molto piu’ adatto a garantire un’effettiva interoperabilita’ tra applicazioni e tra formati, un’esigenza che si sta facendo sentire con forza sia nella pubblica amministrazione, sia nel privato.
Per l’Italia, il software open source offre opportunita’ a piu’ livelli. Ad un primo, piu’ immediato livello, la gratuita’ di larga parte del software open source permetterebbe considerevoli risparmi sui costi delle licenze e quindi un miglioramento della bilancia commerciale italiana del software, in permanente rosso profondo.

I potenziali effetti positivi di un maggior coinvolgimento italiano nell’open source, pero’, vanno al di la’ del semplice, anche se importante, risparmio sui costi delle licenze software in almeno alcuni settori di utilizzo. Il software open source, infatti, rappresenta know-how a disposizione di chiunque sia capace di metterlo a frutto.
E’ quindi, da una parte, un’occasione per le piccole e medie imprese software italiane che al momento si limitano a vendere licenze e servizi di system integration per tornare anche a produrre software, ma questa volta sfruttando il pool di software open-source esistente e inserendosi in una rete di sviluppatori globale.
Dall’altra parte, e’ un’occasione per tutte le imprese, a prescindere dal loro settore di attivita’, per operazioni di spin-in in tema di software, ovvero, operazioni che portino in house competenze in grado di sviluppare e mantenere a costi competitivi soluzioni open source progettate ad hoc per la specifica realta’ aziendale, spesso poco o affatto servita dalle soluzioni off-the-shelf normalmente disponibili.

Cosi’ facendo le aziende acquisirebbero il pieno controllo di almeno parte della loro infrastruttura software, ovvero di quel sistema nervoso digitale che puo’ rendere possibili consistenti aumenti di produttivita’, a patto, pero’, di saper compenetrare tale sistema nervoso col resto delle funzioni aziendali e di saper mantenere tale compenetrazione nel tempo, al cambiare delle circostanze di mercato e delle strutture e dei processi organizzativi interni.

Juan Carlos De Martin, Professore Associato presso il Politecnico di Torino

Per approfondimenti consulta anche:


Podcast
Licenze Creative Commons – Intervista a Juan Carlos De Martin