La costante crescita dei consumi degli ultimi decenni, ha gradualmente provocato un impatto sulle risorse del nostro Pianeta, creando nuove sfide per l’approvvigionamento energetico.

Le crescenti necessità sia da parte dell’industria che del consumo privato, obbligano gli stati a produrre o importare quantità sempre maggiori di energia. Le conseguenze sono molteplici e, i danni arrecati all’ambiente si pongono in cima all’elenco delle priorità da gestire. Per questo, la ricerca di fonti energetiche alternative è fondamentale per invertire la tendenza del surriscaldamento terrestre: eolico, fotovoltaico, geotermico, marino, hanno fatto segnare un incremento significativo della quota di produzione di energia rinnovabile nel mercato.

Il ricorso a fonti alternative agli idrocarburi diventa sempre di più di uso comune. Allo stesso tempo, negli ultimi anni, si è anche affermata l’energia ricavata dalle biomasse, ovvero il biogas e il biodiesel.

Per produrre questi tipi di energia esistono varie tecniche. La più semplice si basa su un principio antichissimo, un procedimento intuitivo, usato fin dall’epoca paleolitica, in cui per riscaldare spazi ristretti come grotte e rifugi si bruciavano i rifiuti prodotti dagli stessi nuclei familiari. Ciò evitava di dover uscire ogni volta, in un mondo irto di pericoli, a cercare legna e foglie secche e, allo stesso tempo, eliminava gli scarti prodotti all’interno delle piccole comunità. Oggi, a distanza di migliaia di anni, esistono metodi come la termovalorizzazione, in qualche modo simili a quel processo primordiale. Bruciando Scaldando i rifiuti urbani (impiegando quindi energia) in modo da far evaporare l’acqua in essi contenuta in percentuali vicine al 70% e procurandone la combustione, è possibile ricavare ulteriore calore, utile alla produzione di energia. I vantaggi di questo procedimento, sono lo smaltimento dei rifiuti e la possibilità di far avvenire la combustione in modo controllato. Ad oggi tuttavia, gli impianti più moderni riescono ad avere un’efficienza energetica ancora limitata a percentuali intorno al 30-35% dovendo trattare i rifiuti ad alte temperature ed essendo obbligati a far evaporare tutta l’acqua che contengono per poterli valorizzare. Inoltre, per limitare l’inquinamento dell’ambiente, è necessario gestire adeguatamente tutti i gas e i fumi prodotti.

Per questo motivo, in anni recenti, si sono tentate altre strade che, senza abbandonare del tutto il principio di base, limitassero al massimo la dispersione di energia e contenessero il grado di inquinamento.

Un metodo usato per far fronte a tali esigenze, è la termoliquefazione, un processo che permette di trasformare in bio-olio la frazione umida dei rifiuti solidi urbani, ispirandosi all’opera della natura, in particolare, al lungo processo di formazione degli idrocarburi, trasformando le biomasse in una fonte di energia.  La decomposizione anaerobica degli organismi viventi infatti, in presenza di determinate condizioni di pressione e temperatura, ha permesso mediante processi lunghi milioni di anni, di creare e accumulare nelle viscere della terra il petrolio e il gas naturale che oggi usiamo.

I materiali di scarto, per i quali esiste già una filiera di raccolta consolidata, si utilizzano così come materia prima, secondo i principi dell’economia circolare. La biomassa può essere lavorata direttamente, senza necessità di “essiccamento”, come invece necessario negli inceneritori. Inoltre, rispetto alla gassificazione (800-1000°C) o la pirolisi (400-500 °C), sono necessarie temperature meno elevate. Assolutamente rilevante, è poi la resa energetica: pari ad oltre l’80%. Infine, un ulteriore vantaggio è dato dal fatto che l’acqua contenuta nella FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) viene recuperata e, opportunamente trattata, può essere usata a scopo irriguo. L’energia così prodotta aiuta a ridurre gli sprechi e a rispettare gli accordi internazionali sul clima della COP25 oltre che le direttive europee sulle fonti rinnovabili nei trasporti (RES).

Una tecnica in grado di generare complessivamente grandi vantaggi per la collettività, il prodotto finito, infatti, può essere impiegato direttamente come olio combustibile per il trasporto marittimo oppure, se ulteriormente processato, diventare biocarburante da usare, ad esempio, per le automobili.

Del resto, l’attenzione a tali sistemi di produzione energetica è crescente. Anche il governo italiano ha da poco approvato un decreto che istituisce il sistema nazionale di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi. Tale norma è in linea con le direttive europee e mira a far sì che la catena di consegna dei biocarburanti e dei bioliquidi sia certificata, per assicurare il rispetto della sostenibilità e per poter usufruire di regimi incentivanti. Lo scopo finale è quello di poter ottenere una maggiore gestibilità del meccanismo e della trasparenza del sistema, per cui diventa obbligatorio aderire al sistema nazionale di certificazione nel caso di biocarburanti “avanzati”.

Fonte: Eni.com https://www.eni.com/it-IT/economia-circolare/protagonisti-energia-alternativa.html