Quando si parla di made in Italy, è difficile non pensare al settore agroalimentare.
Si tratta di un’associazione mentale spontanea che trova sostanza non soltanto nell’immagine e nella tradizione culinaria del nostro Paese, assolutamente unica per varietà e qualità, ma anche per il peso economico, che situa il comparto al secondo posto in Italia per fatturato totale, con una quota di circa il 12% del valore della produzione dell’industria manifatturiera italiana e presenta un saldo export-import attivo ed in crescita.
Accanto a queste incoraggianti premesse emergono tuttavia sfide molto impegnative. L’agroalimentare è infatti un settore maturo al quale verranno presto sottratte le barriere protettive doganali e gli aiuti all’export mentre si intensifica la competizione sui prezzi, conseguenza dei meccanismi della globalizzazione. Alla luce di queste difficoltà, che non consentono da parte delle imprese italiane una reazione efficace sulla base dell’abbattimento dei costi di produzione, l’unica risposta è ancora e sempre l’innovazione.
Una ricetta, come ha messo in evidenza il recente studio di foresight realizzato dalla Fondazione Faber insieme a Confindustria Emilia Romagna e Fondazione Rosselli, che in questo comparto presenta diverse difficoltà aggiuntive.
In primo luogo per la delicatezza, tipica nel settore alimentare, del rapporto tra innovazione e tradizione. Se infatti il consumatore tende a premiare la varietà e la possibilità di provare nuovi prodotti, bisogna tuttavia evitare di erodere la reputazione fortemente positiva, e radicata negli anni, delle ricette tradizionali.
Ancora più problematico è il rapporto fra cibo e tecnologia.
La percezione da parte dei consumatori degli organismi geneticamente modificati (OGM) è solo uno dei possibili esempi che dimostrano quanto il fattore tecnologie possa essere critico per le imprese agroalimentari, ben oltre gli aspetti prettamente manifatturieri.
Infine risulta decisiva, nella quotidiana scelta di fronte allo scaffale del supermercato, l’importanza della cultura della cucina e degli stili di vita del consumatore finale.
È proprio da questo punto di partenza che ha inizio l’avventura di Valsoia, che ha posto al centro della sua spinta innovativa il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, sempre più sensibili all’importanza della presenza sulla tavola di prodotti sani e nutrizionalmente equilibrati.
Lo studio delle proprietà della soia continua infatti ad evidenziare alcune importanti caratteristiche di questo alimento, in particolare rispetto alla prevenzione di numerose patologie cardiovascolari in virtù della riduzione del colesterolo e anche per quanto riguarda la riduzione dei sintomi e delle patologie correlate alla menopausa, come l’osteoporosi.
L’utilizzo di un ingrediente sano ed estremamente duttile, quale la soia, come base per una serie di prodotti alimentari diversi ha generato innovazioni nei processi e nei prodotti introducendo elementi di novità nelle linee della tradizione dei latticini, del gelato, dei biscotti e perfino della pizza.
Si tratta di un percorso strategico che punta all’innovazione per creare prodotti in grado di essere venduti con premium price su nicchie di mercato e che rappresenta una delle più accreditate traiettorie di crescita per diverse filiere dell’agroalimentare italiano.
L’ulteriore scommessa di Valsoia è stata l’ambizione di creare un vero e proprio “sistema alimentare” che potesse intercettare tutti i momenti di consumo alimentare presenti durante la giornata tipo di un consumatore con un’unica linea di prodotti, venendo anche incontro a eventuali specifiche esigenze alimentari quali l’intolleranza al lattosio o la riduzione dell’apporto di zuccheri.
Un progetto che oggi è realizzato in un’azienda che è cresciuta negli ultimi 10 anni al ritmo del 15% annuo e che, malgrado le difficoltà dovute allo scarso interesse del mercato dei capitali al settore agroalimentare, ha raggiunto l’obiettivo di quotarsi in Borsa nel luglio scorso ottenendo una performance di tutto rispetto nei primi 6 mesi con oltre il 20% di crescita di valore.
L’agroalimentare è un settore molto polverizzato, solamente 200 imprese del settore in Italia superano i 50 dipendenti. Un dato reso ancora più preoccupante se si considera che il comparto conta, in media, poco più di 7 dipendenti per impresa, contro i 18 delle statistiche europee. Oltre all’innovazione occorrerebbe dunque annoverare gli incentivi all’aggregazione ed alla crescita dimensionale delle imprese tra le priorità del comparto, che ad oggi, nonostante il suo peso rilevante a livello nazionale, viene rappresentato in Borsa solo da una manciata di imprese.
La storia di Valsoia, così come quella di altre imprese italiane è paradigmatica nel dimostrarci che non mancano, nel nostro Paese, né la creatività per produrre idee vincenti, né le tecnologie per realizzarle, anche in un settore, quello agroalimentare, in cui l’innovazione è un tema delicato, che va armonizzato con le esigenze dei consumatori.
Sfruttare queste potenzialità è dunque possibile ed è la strada maestra da percorrere per crescere nei mercati del futuro.
Lorenzo Sassoli De Bianchi, Amministratore Delegato e azionista di maggioranza della Valsoia S.p.a