Il rischio di perdita di posti di lavoro legato all’intelligenza artificiale, temuto da più parti, è una falsificazione della realtà, o forse una semplificazione di un quadro complesso che, paradossalmente, per essere affrontato richiede un aumento degli investimenti in tecnologia e nel reskilling dei lavoratori

Il costante aumento nell’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale (IA) nel mondo delle imprese sta creando grande preoccupazione e porta esperti e non a interrogarsi su una domanda cruciale: l’IA minaccia il ruolo umano sul posto di lavoro più di qualsiasi altra tecnologia? Visti i progressi significativi e a volte impressionanti registrati dall’IA negli ultimi anni, l’impatto sull’occupazione sarà davvero diverso questa volta?

A queste ed altre domande si è cercato di dare risposta nel corso del workshop organizzato qualche settimana fa dalla Fondazione COTEC, dal titolo “IA e futuro del lavoro tra automazione e nuove skill professionali”, secondo appuntamento del ciclo previsto dal progetto “intelligenza artificiale: Le grandi aspettative”, lanciato alla fine dello scorso anno d’intesa con il Dipartimento per la Trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio e con il supporto accademico dell’Università Roma Tre.

Era il 1995 quando Jeremy Rifkin, noto economista statunitense, scriveva un libro di grande successo, un vero best seller, intitolato “La fine del lavoro”, nel quale in sintesi sosteneva che mentre in occasione delle precedenti rivoluzioni industriali le masse di lavoratori sostituite dai nuovi macchinari e tecnologie avevano trovato occupazione nei nuovi settori emergenti, passando così dall’agricoltura all’industria e poi dall’industria al terziario, in occasione della rivoluzione determinata dall’avvento delle Information Technologies le masse di lavoratori che sarebbero uscite dal terziario sarebbero entrate inesorabilmente a far parte del mondo della disoccupazione. Rifkin profetizzava una rapida evoluzione verso una società in cui le masse di lavoratori sostituiti da computer e robot, sarebbero andate a ingrossare “orde di milioni di lavoratori che vengono licenziati e che si ritrovano, dalla mattina alla sera, irrevocabilmente chiusi fuori dai cancelli del nuovo villaggio tecnologico globale”.

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