Che innovare sia indispensabile è un fatto ormai acquisito dalle nostre imprese. L’importante, però, è introdurre l’innovazione nel prodotto o processo il più rapidamente possibile, non appena se ne è avuto l’intuizione. Oggi non è più possibile innovare tramite acquisizione autonoma interna all’impresa delle nuove soluzioni e delle nuove tecnologie. Non può permetterselo la grande impresa con divisione di ricerca ampiamente strutturati e tanto meno lo può fare la piccola azienda. Una possibilità per accelerare il processo innovativo è quella di ricercare all’esterno dell’impresa soluzioni tecnologiche già esistenti. Si stima che il 98% delle innovazioni si basi su principi inventivi già noti e spesso già applicati in altri settori industriali. Sembra quindi logico, prima di avviare un programma di ricerca, verificare se la stessa tecnologia sia già stata studiata e applicata con successo e quindi acquisirla eliminando i relativi costi di sviluppo. In questo campo i nostri imprenditori sono dei veri maestri: ne è un esempio Moretti Polegato che ha saputo individuare nel tessuto utilizzato dalla Nasa per le tute spaziali l’esatta soluzione al suo problema di impermealizzazione e ventilazione delle suole della futura Geox.
La preliminare individuazione di soluzioni esterne non può essere lasciata al caso e all’intuizione. L’innovazione va affrontata in modo sistematico e continuo, utilizzando strumenti e metodi di ricerca e progettazione industriale già ampiamente usati all’estero da oltre dieci anni. Uno dei più diffusi è il metodo TRIZ – acronimo russo traducibile con: “Teoria per la risoluzione inventiva dei problemi” – che si focalizza sull’individuazione ed analisi di potenziali soluzioni di uno specifico problema tecnologico ricercandole anche all’interno dell’immenso patrimonio delle banche dati brevettali.
Sembra l’uovo di colombo ed infatti lo è anche se il processo è tutt’altro che semplice e richiede un forte background sulla conoscenza di soluzioni tecnologiche che solo network estesi di competenze possono avere.
Un esempio applicativo è quello dei ricercatori della famosa casa statunitense di patatine Pringles che grazie a metodi di scouting tecnologico hanno individuato in una piccola azienda alimentare di Bologna una tecnologia a getto di inchiostro per stampare immagini commestibili su torte e biscotti. Tecnologia che è stata immediatamente acquisita e adottata dalla società americana.
Non è, quindi, più possibile cercare di dirigere e sviluppare all’interno delle mura aziendali il processo di acquisizione delle conoscenze. Si deve invece cercare di acquisire all’esterno, con appropriate metodologie, le opportune competenze (le nuove applicazioni e le nuove tecnologie). E’ questo il concetto dell’open innovation, la metodologia descritta da Henry Chesbrough docente dell’Harvard Business School, che sottolinea l’importanza di creare un sistema di relazioni con l’ambiente esterno in tema di acquisizioni e scambi di tecnologia, e che si contrappone alla classica closed innovation basata sulla ricerca e sviluppo interna. L’open innovation, ormai ampiamente utilizzata dalle grandi imprese multinazionali, sembra ritagliata apposta per il sistema delle piccole e medie imprese italiane che non sono in grado di sostenere ampi costi di ricerca.
Ma l’open innovation non si applica solo all’acquisizione del know how, si riferisce anche alla valorizzazione dell’innovazione generata. Una volta sviluppata e utilizzata l’innovazione può, infatti, rappresentare un fattore per ottenere dei ritorni economici attraverso la cessione della stessa ad aziende non concorrenti dopo averla riconfigurata alle loro necessità.
Ogni impresa ha nei propri cassetti dei veri tesori che deve cercare di valorizzare cedendo, ove possibile, l’innovazione prodotta. La cessione dell’innovazione consentirebbe di avviare il circolo virtuoso tra investimenti in ricerca e ritorni economici degli stessi. Se il bilancio è positivo, l’impresa sarà più propensa a investire nuovamente in tecnologia.
Ceccato, media impresa milanese specializzata nelle tecnologie di microforatura, ha individuato grazie all’applicazione della metodologia TRIZ oltre dieci settori industriali nei quali poteva essere utilizzata la sua tecnologia proprietaria come ad esempio l’uso dei microfori per sostituire l’impiego delle protezione antiscivolo negli scalini in marmo. Ne è seguita una attività commerciale che ha portato l’azienda ad avviare rapporti industriali con imprese prima completamente sconosciute all’impresa lombarda.
E’ proprio per agevolare lo scambio di tecnologie che è stato avviato nello scorso mese di marzo da Politecnico Innovazione, (consorzio della Fondazione Politecnico di Milano) il servizio Marketing delle tecnologie per promuovere alcune opportunità tecnologiche offerte dalle imprese.
L’avvio di un ampio sistema di interscambio tecnologico tra imprese, è una nuova opportunità che finora è stata scarsamente promossa e utilizzata dal sistema Italia. E’ tempo che anche nel panorama nazionale strumenti di questo tipo siano ben più presenti e sostenuti.
Non è però solo utilizzando un portale web che è possibile far superare le attuali difficoltà che incontra la piccola impresa a cercare soluzioni tecnologiche, implementarle e infine a promuovere le proprie innovazioni. La Pmi di fatto non è in grado di svolgere autonomamente questi compiti di acquisizione e cessione di know how. Deve essere aiutata e per far questo risulta fondamentale l’apporto di un intermediario tecnologico, una figura che in Italia sta iniziando a fare la sua comparsa ma che negli USA è già presente da tempo.
L’auspicio è che i decisori pubblici, sia locali che nazionali, abbiano la capacità di avviare programmi a supporto delle iniziative di open innovation e dello scambio tecnologico tra Pmi sostenendo le iniziative almeno nella loro fase di start up.

Sergio Campodall’Orto, Direttore generale di Politecnico Innovazione

RIFERIMENTI

“Open Innovation: the new imperative for creting and profiting from technology”
, di H. Chesbrough.

LINK

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