Nel 1995 Jeremy Rifkin, noto economista statunitense, scrisse un libro di grande successo che divenne un best seller internazionale, intitolato “La fine del lavoro”, nel quale profetizzava che, a causa della rivoluzione determinata dall’avvento delle Information Technologies, si sarebbe assistito ad una rapida evoluzione verso una società in cui le masse di lavoratori sostituiti da computer e robot, sarebbero andate a ingrossare “orde di milioni di lavoratori che vengono licenziati e che si ritrovano, dalla mattina alla sera, irrevocabilmente chiusi fuori dai cancelli del nuovo villaggio tecnologico globale”.
Fortunatamente oggi sappiamo che quelle previsioni sono state sostanzialmente smentite, eppure, oggi un nuovo spettro si aggira per le nostre società: l’Intelligenza Artificiale. Il costante aumento nell’utilizzo di queste tecnologie in tutti i settori sta infatti creando grande preoccupazione e porta esperti e non a interrogarsi su una domanda cruciale: l’IA minaccia il ruolo umano sul posto di lavoro più di qualsiasi altra tecnologia precedente?
Nel corso di un interessante workshop organizzato qualche settimana fa dalla Fondazione COTEC, dal titolo “IA e futuro del lavoro tra automazione e nuove skill professionali” è stata affrontata questa domanda, partendo dalla constatazione che, sebbene la diffusione e l’uso delle tecnologie di Intelligenza Artificiale siano ancora a livelli relativamente limitati nelle nostre economie, in effetti essa comincia concretamente a trasformare i mercati del lavoro ed è evidente che, in particolare in un momento in cui queste trasformazioni si aggiungono alle turbolenze causate dalla pandemia del COVID-19, con più di 45 milioni di persone disoccupate nei paesi dell’OCSE, inquietudine e preoccupazione aumentino ovunque tra i lavoratori.
I dati disponibili, riferiti all’osservazione degli impatti provocati dalle tecnologie di IA negli ultimi dieci anni, in realtà,suggeriscono che, nel complesso, esse hanno il potenziale per integrare e aumentare, piuttosto che sostituire, le capacità umane eche anzi, fino ad oggi, l’introduzione dell’IA nelle aziende ha creato più posti di lavoro di quelli che ha fatto perdere (dati OCSE gennaio 2021). Da cosa dipendono dunque i timori basati sulla convinzione da parte di molti che la rivoluzione tecnologica determinata dall’IA sarà differente dalle precedenti, provocando un drastico calo della domanda di lavoro umano e dei salari?
Il dibattito teorico condotto da economisti, informatici e sociologi, sull’impatto che avrà l’Intelligenza Artificiale su occupazione e salari, in effetti, ha condotto fino ad oggi a conclusioni ambigue,fortemente dipendenti da cosa si ricomprende nella definizione stessa di IA, dalla fase di sviluppo e di diffusione delle sue diverse possibili applicazioni e dal contesto esistente nei vari mercati in cui essa viene introdotta. In estrema sintesi, comunque è possibile affermare che se da un lato l’IA non determinerà una sostituzione del lavoro umano, bisogna però anche essere consapevoli che l’impatto che avrà sul mercato del lavoro potrebbe effettivamente essere diverso da quello avuto nel passato da altre tecnologie, nel senso che i cambiamenti e le trasformazioni che determinerà saranno probabilmente più profondi e toccheranno anche lavori cognitivi che nelle precedenti rivoluzioni industriali erano rimasti esenti da conseguenze.
Come emerge chiaramente da un recente studio dell’OCSE (Marguerita Lane, The impact of Artificial Intelligence on the labour market: What do we know so far?, OECD Social, Employment and Migration Working Papers, 21 January 2021), esistono in effetti alcune caratteristiche dell’IA che potrebbero rendere il suo impatto sul mercato del lavoro diverso da quello di altre tecnologie, che sostanzialmente sono: 1. Il fatto che l’intelligenza artificiale è una tecnologia di uso generale (General Purpose), ovvero con un impatto dirompente sull’intero sistema economico e sulla società (come lo sono state ad esempio l’elettricità, l’automobile, il computer o Internet) e ciò fa temere che, venendo utilizzata trasversalmente in ogni settore economico, potrebbe portare alla perdita di un numero estremamente più elevato di posti di lavoro rispetto a quanto oggi determinato dai processi di automazione nei settori in cui sono stati introdotti. Naturalmente, tale tesi trascura il fatto che se il potenziale diperdita di posti di lavoro legati all’IA è maggiore, ugualmente lo sarà il potenziale beneficio per i lavoratori, grazie alla capacità di tale tecnologia di produrre essa stessa innovazioni e di generare industrie completamente nuove.
2. La capacità dell’IA di eseguire compiti cognitivi non di routine, che, contrariamente alle tecnologie di automazione adottate fino a poco tempo fa, che avevano interessato principalmente processi di produzione di beni di routine e poco qualificati, andranno sempre più ad interessare professioni altamente qualificate, che diventano dunque automaticamente altamente esposte a subire impatti occupazionali. In realtà, anche in questo caso, le evidenze raccolte ad oggi suggeriscono che questi lavoratori altamente qualificati, potenzialmente più minacciati dall’IA, sono anche maggiormente capaci di sfruttare i benefici che l’IA comporta, utilizzandola in un modo complementare al proprio lavoro e che. Più che su eventuali perdite di posti di lavoro, dunque l’impatto forse più rilevante su cui occorre concentrarsi per evitare il rischio di nuovi ed ulteriori squilibri sociali, riguarda la possibile ulteriore crescita delle disparità di reddito tra lavoratori altamente qualificati, le cui attività possono essere integrate dall’uso dell’IA e lavoratori poco qualificati che avranno meno necessità di utilizzare queste nuove tecnologie.
3. Le nuove sfide che l’IA introduce per l’ambiente di lavoro, grazie alla sua capacità di raccogliere ed elaborare grandi quantità di dati da utilizzare per sostenere i processi di gestione del personale (dal monitoraggio della produttività dei lavoratori, ai processi di selezione, all’organizzazione, alla formazione). Se da un lato tali caratteristiche rendono l’IA uno strumento di grande utilità ed interesse per le aziende, allo stesso tempo l’utilizzo di un monitoraggio estensivo, abbinato alla mancanza di trasparenza e di responsabilità riguardo alle previsioni algoritmiche applicate ai lavoratori, può generare un clima di sospetto e sensazioni di oppressione e insicurezza, creando stress e ripercussioni su clima aziendale e produttività.
Sulla base di tali analisi, come pure da quanto emerso dal dibattito tra gli esperti che hanno partecipato al workshop della Fondazione COTEC, risulta chiaramente che il rischio di perdita di posti di lavoro, temuto o minacciato da più parti, è una falsificazione della realtà, forse potremmo dire una semplificazione di un quadro complesso che invece, paradossalmente, per essere affrontato richiede proprio un aumento degli investimenti in tecnologia.
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