A causa dell’emergenza Coronavirus si è incrementato molto lo smart working, sia nella pubblica amministrazione che in aziende e uffici dove le presenze dovevano essere limitate solo per attività che non potevano essere svolte da remoto. Alla luce dei numeri di adesione allo smart working, la ministra Fabiana Dadone, si è posta l’obiettivo di far diventare la norma tale modalità di lavoro nella PA anche dopo che si è superata l’attuale circostanza. In base ad una indagine di Sky Tg24 ,il numero di persone collocate in smart working, nelle amministrazioni centrali, attualmente sono intorno all’80% e i dati di tutte le regioni si attestano intorno al 69%.
La situazione di emergenza ha dato dunque un impulso importante al lavoro agile che, un po’ in tutti i settori e in particolare nella PA, stentava a decollare. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2019 solo il 16% delle PA aveva avviato progetti strutturati di Smart Working mentre ben 4 amministrazioni su 10 non aveva attivato alcuna iniziativa; il 31% era incerto e il 7% addirittura disinteressato. Appena il 12% dei lavoratori pubblici era coinvolto in queste iniziative. Un progetto molto interessante, realizzato prima dell’emergenza, è il progetto Vela, un acronimo che sta per veloce, leggero, agile. Esso è volto alla costruzione di una buona pratica attraverso il confronto tra esperienze esistenti e tra amministratori tramite un kit di riuso disponibile ad altre PA interessate, con documenti, procedure ed altro che gli enti possono subito mettere in atto.
Le regioni coinvolte sono l’Emilia-Romagna , la provincia autonoma di Trento, il Friuli Venezia Giulia, il Lazio, il Piemonte, il Veneto, la città di Bologna il comune di Bologna e l’Unione Territoriale delle Valli e delle Dolomiti Friulane.