Per anni i dati positivi dell’export nel settore manifatturiero in Italia non si sono accompagnati a un’analoga performance nell’export dei brevetti, copyright, know-how, marchi, in sintesi di capacità tecnologica e innovativa. Infatti la bilancia tecnologica dei pagamenti è stata in rosso fino al 2006, a differenza di molti altri paesi concorrenti come Regno Unito, Germania e Francia.
Ciò poteva essere spiegato in vario modo, dalle propensioni alla scarsa innovazione tecnologica di origine endogena. La spiegazione più verosimile sembra però essere quella legata alla tipologia d’innovazione generata nel nostro sistema industriale, in particolare delle Pmi. Fino a qualche anno fa le indubbie performance del nostro sistema manifatturiero erano legate a innovazioni incrementali difficilmente codificabili perché basate più sul know-how individuale dell’inventore che su procedure oggettive o conoscenze scientifiche.
Questa capacità tecnologica era, per definizione, difficilmente esportabile. Come si può evincere dal “Rapporto 2009 sull’Innovazione” della Fondazione Cotec, questa situazione sembra cambiare dal 2006 con la presenza per la prima volta di una bilancia tecnologica positiva. I flussi attivi sono pari allo 0,29% del Pil mentre i flussi passivi rappresentano lo 0,23 per cento. La situazione positiva sembra continuare anche nel 2007 con un saldo attivo dello 0,06 per cento.
L’impresa italiana ha cominciato a rafforzare la sua propensione alla ricerca e a sviluppare competenze tecnologiche codificabili ed esportabili: aumento tra il 2000 e il 2006 del 25% del numero di addetti alla R&S industriale e aumento del contributo privato alla spesa in R&S pubblica, prevalentemente universitaria, che passa dall’1,2% del 2003 al 4,1% del 2006. Questo impegno privato si manifesta anche nel 67,3% di spin-off accademici che vengono finanziati di fronte a solo un terzo sostenuto da fondi pubblici e un altro terzo da fondi universitari.